Chi l’avrebbe mai detto che, proprio grazie alla famiglia reale che volle salvaguardare l’attività venatoria della casata, lo stambecco sarebbe sopravvissuto all’estinzione in territorio italiano? Fu Vittorio Emanuele II ad istituire una riserva nelle ultime zone in cui era ne rimasta traccia. Dalla stessa riserva, successivamente allargata, nacque poi il Parco Nazionale del Gran Paradiso nel 1922. Una scelta che può quindi definirsi egoista, quasi contrastante, ha fortunatamente salvato lo stambecco.
Grazie alla casata reale, la Valle d’Aosta può vantare di non aver avuto necessità di ripopolare le montagne con delle reintroduzioni in natura, cosa che invece è accaduta nelle altre aree italiane.
Arrampicatori per necessità
Gli stambecchi sono ungulati che vivono ad alte altitudini, fin oltre i 3000 metri. Grazie ai loro zoccoli riescono ad avere un’aderenza alle rocce invidiabile da tutti gli arrampicatori, tanto da essere capaci di avanzare su pareti a pendenze vertiginose. La diga del Cingino, in Piemonte, è diventata famosa tanto da venir soprannominata “palestra degli stambecchi”, perché le sue mura sono popolate da numerosi gruppi di questi ungulati, che si arrampicano con una disinvoltura quasi inverosimile ai nostri occhi e alla nostra mente. Ma perché questo comportamento? Dal momento che hanno una dieta povera di sali, ogni sorgente alimentare in quel senso diventa preziosa. Sulle pareti della diga possono trovare sale in abbondanza, ed è anche per questo che nelle valli poco popolate dall’uomo, si possono avvistare facilmente stambecchi in mezzo alla strada che succhiano letteralmente il sale depositato sull’asfalto.
Se la morfologia dei loro zoccoli è estremamente adattata alla progressione su roccia, non si può dire che l’animale abbia le stesse abilità su ambienti nevosi. Qui è il camoscio che invece fa da padrone, grazie ad una plica digitale tra gli zoccoli, che aumenta la superficie su cui l’animale scarica il suo peso; usandola un po’ come una ciaspola, evita così di sprofondare sulla neve.